Come tutti i castelli medioevali, anche quello di Gradara ha il suo Mastio, la torre più alta e il più solido baluardo per proteggersi dagli attacchi. 

Chi l’avesse eretta in origine non è certo, ma nel XII sec è appartenuta alla famiglia Griffo e   poi a quella dei Bandi, finchè Sigismondo Malatesta non riesce a farsela attribuire dalla Chiesa come passepartout per la città di Pesaro e del suo territorio. L’antica torre viene inglobata in una più grande e funzionale e da lì si sviluppa l’intero castello con la doppia cinta muraria.

Dall’acquerello di Liverani è evidente che il castello si trovasse in una zona brulla che enfatizzava la sua maestosità. La selva è solo in una zona della collina e da lì si ricavava il legname per scaldarsi. Il resto del paesaggio intorno alle mura non era così rigoglioso perché  è stato creato dagli anni ’60. In epoca medioevale l’aspetto della torre doveva essere dunque molto tetro, come pure della rocca. Si sa di certo infatti che sia stata una prigione, mentre meno certa è la destinazione a dimora  che avvallerebbe la storia di Paolo e Francesca.

Purtroppo i ritrovamenti certi nella rocca riguardano scheletri ed armature e non oggetti femminili o libri “galeotti”.

Da questo punto è possibile indicare la ferrovia, che ha attraversato la campagna sottostante aprendo anche una piccola stazione che ora è chiusa da tempo.

Ed è anche possibile indicare la siligata, che noi oggi conosciamo come strada, ma che è stata un valico, difficile e pericoloso, ma importante via di comunicazione quale oggi è rimasta. Ha costituito sempre un grande  ostacolo agli spostamenti in quanto strada pericolosa e impervia. Significative le foto dei primi camion che si inerpicano a fatica lungo il valico, soprattutto con la neve e il ghiaccio. 

Gli abitanti di Gradara ammettono ancora oggi che la presenza del valico ha sempre inciso psicologicamente sui rapporti con Pesaro, a cui è stata sempre  preferita la Romagna. I rapporti con la costa romagnola permangono  persino oggi, fin dai tempi passati.