I problemi legati ad una ospitalità  decorosa dei pazienti si acuì mano a mano che il numero degli stessi aumentò nel San Benedetto. La necessità di un nuovo spazio si fece urgente, ma alla fine si optò per un restauro che prevedeva un’operazione di ampliamento. Venne dato l’incarico  a  Giuseppe Cappellini, un architetto non era nuovo a queste imprese; infatti nel 1850 aveva avuto l'incarico di trasformare in manicomio la Villa Medicea dell'Ambrosiana a Montelupo Fiorentino, e tra giugno e settembre dell'anno successivo fece un viaggio attraverso l'Europa per visitare i maggiori e più avanzati ospizi per alienati. Il Cappellini presentò il suo grandioso progetto nel 1858, quando i ricoverati erano 179, di cui ben 46 pensionati appartenenti a varie provincie. 

Il corpo principale a 4 piani fu prolungato e raddoppiato verso est fino a raggiungere via Mammolabella; questo permise di ottenere una grande facciata con l'entrata principale sul Corso. L’edificio venne prolungato lungo la stessa via verso sud fino ad unirsi con un fabbricato realizzato in un precedente intervento; fu innalzata l’ala verso porta Rimini e all’interno dell’istituto furono creati due cortili divisi da un braccio di fabbrica trasversale e una costruzione all’estremo orientale del Barchetto. Venne ricostruita una nuova cappella dopo la definitiva demolizione della chiesetta  sulla strada del Belvedere e un nuovo edificio, adibito a lavanderia, venne edificato nel triangolo terminale a sud dell'area del Barchetto.

Circa dieci anni dopo, completata la esecuzione del progetto Cappellini, l’Ospedale di S. Benedetto assunse la sua forma e sistemazione definitiva, e la capacità di circa 400 persone e raggiunse l’apice del suo maggiore splendore e della sua fama. Da ogni parte infatti accorrevano ammalati per essere accolti nel San Benedetto, dove tutto era improntato alle più larghe vedute ed organizzato secondo i criteri prettamente tecnici.

Autorità, ordine, disciplina, amorevolezza erano i cardini fondamentali dell’organizzazione dell’istituto; idroterapia, divertimenti, passeggiate, lavoro sotto tutte le forme opportune, erano i mezzi terapeutici più in uso. I mezzi contentivi meccanici erano adoperati con parsimonia; abolite tutte le forme di antiquata terapia manicomiale, che pure in certi istituti ancora sussistevano, come il bagno a sorpresa, la macchina rotatoria, e simili.

 I lavori proseguirono a lungo, sino al 1871, nel quale anno assunse la direzione dell'ospedale il noto psichiatra Cesare Lombroso.

In questi anni il San Benedetto fu testimone e protagonista degli eventi che portarono alla liberazione di Pesaro dal giogo pontificio. Fu uno dei medici dell'ospedale ad aprire il portone di Porta Rimini alle truppe piemontesi e a sventolare la bandiera italiana sul tetto del manicomio stesso.


Funzionalità e razionalità

L'architettura del San Benedetto ripropose  reminiscenze neoclassiche, evidenti nella struttura, nella composizione della pianta, nel disegno dei prospetti e nell'articolazione volumetrica: unità e ripetizione, semplificazione degli elementi,  funzionalità e razionalità.  Del resto, lo scopo di un manicomio non è la bellezza, ma l'utilità. La facciata porticata adattò l'edificio alla morfologia della via. Infatti la facciata del palazzo, scandita da cinque unità volumetriche che seguivano l'andamento della via, era lievemente convessa conferendo enfasi alla parte centrale che sporgeva in avanti e appariva molto più grande di tutte le casine intorno. 

Il pacato e misurato classicismo delle superfici, mosse appena dall'alto basamento a bugnato liscio, dalle finestre a lunetta e dal bugnato d'angolo, è un vero e proprio esercizio di sobrietà. La parte centrale accoglie un motivo ad arcate porticate, in asse con le finestre dei piani superiori che sono sormontate da un timpano. Il coronamento del prospetto era costituito da un frontone che nelle successive scomparve.

Concepito in origine come istituto riunito in un corpo solo, in modo da essere sotto il più facile dominio di una 'direzione medica' (posta al centro dello stabile, e munita di un cortile sopraelevato e segreto), il San Benedetto, alla data dell'unificazione, poteva considerarsi, per certi versi, 'un modello di ospizio di custodia' degli alienati. Quello di Cappellini fu un importante esempio di architettura civile dell'Ottocento, tale da essere presentato con successo all'Esposizione Universale di Parigi del 1867. 

Fu per questo che la nota tipografia pesarese Federici raccolse in venti tavole racchiuse in un cofanetto l’avanguardistico progetto per presentarlo alla Esposizione. Le quattro foto in ovale, con vedute del san Benedetto sui quattro lati, sono un documento importante: non si sa chi sia stato il fotografo ma egli ha sottolineato con forza il ruolo dell’edificio nell’area cittadina in cui è sorto: la dimensione fuori scala rispetto alle piccole case, la bellezza armonica e composta, ma anche la sicurezza e il fermo controllo che dimostrava già dall’esterno. D’altronde non era così usuale che un manicomio stesse nel bel mezzo del centro storico di una città.