Tappa 04 - Casa del Passeri
Giambattista Passeri
Il Passeri rappresenta una delle figure fondamentali della diffusione della cultura e dello studio del territorio pesarese, insieme ad Annibale degli Abati Olivieri.
Notizie sul Passeri si apprendono dalla pubblicazione dell’Oliveri Memorie dell’uditor Giambattista Passeri tra gli arcadi Feralbo, In Pesaro, casa Gavelli (1780)
Nel 1718, ventiquattrenne, si trasferì a Pesaro, dove il padre era medico presso l’Ospedale San Salvatore, e continuò gli studi mentre esercitava la professione di avvocato. Nel 1722 fu “segretario di giustizia” e prese casa nella via poi chiamata col suo nome. Sposò nel 1726 Margherita Giovannelli Ciacca, ricca possidente di origine bergamasca, dalla quale ebbe Domenico e Francesco Saverio e, con l’unico figlio maschio di quest’ultimo, Giovan Battista junior, si estinse il casato.
Nel brogliardo (elenco dei numeri di mappa con i rispettivi possessori) del Catasto Gregoriano (primi decenni del 1800) compare un GB Passeri che però è GB Passeri Iunior il figlio
Nel 1730, con Annibale degli Abbati Olivieri, fondò quello che sarebbe diventato il vero centro culturale della città, “l’Accademia pesarese di scienze, lettere ed arti”, con il contributo di Nicola Gavelli. Fu in questi anni che l’amicizia con Olivieri si consolidò, arrivando al lascito che sarebbe stato a beneficio della città che l’aveva accolto.
Qui e in seguito Citazione da L. Baffioni Venturi, Cento strade per cento pesaresi, via Passeri
S’innamorò di Pesaro, della quale seguì con interesse e curiosità le vicende presenti e passate, assieme agli amici Annibale degli Abbati Olivieri e Giannandrea Lazzarini con i quali costituì un saldo sodalizio amicale e culturale. Si occupò di fossili, di archeologia, di ceramiche metaurensi, progettò varie bonifiche idrauliche dell’agro pesarese. La biblioteca Oliveriana di Pesaro possiede un volume con suoi progetti manoscritti di architettura, con piante e disegni della città e del territorio. Raccolse una notevole collezione di lucerne di terracotta romane, e le pubblicò in tre volumi illustrati nel 1739, 1743 e 1751 nei quali ne tentò una classificazione
Mise insieme anche un’importante raccolta di vasi etruschi e di frammenti archeologici.
Dal 1732 Uditore, cioè alto funzionario della Legazione pontificia di Pesaro al seguito dei cardinali legati Stoppani e Merlini, si trasferì poi temporaneamente a Bologna, nel 1760, come Uditore di camera, e poi si spostò a Ferrara, con lo stesso incarico. Favorì la nascita della manifattura di maiolica fine “Casali e Calegari”, assieme all’Olivieri e al Lazzarini, tra il 1755 e il 1760. A Urbino, in Palazzo Ducale, sistemò le collezioni di epigrafi di Raffaele Fabbretti e, a Fossombrone, il lapidario Passionei. Giova a meglio comprendere i principi etici che muovevano i tre eruditi pesaresi, quanto Passeri afferma in un suo articolo Delle arti conosciute, e non curate dagli Antichi (pubblicato a stampa su Nuova Raccolta d’Opuscoli Scientifici e Filologici, XIX, presso Simone Occhi, Venezia 1770):
“Il vantaggio di questo secolo, che noi chiamiamo Illuminato, non dee consistere nelle specolative scoperte, ma sebbene nell’adottarle al servigio della Società, che all’esame d’una sicura esperienza le riconosca proficue alla vita civile”.
Tra il 1767 e il 1775 compilò, assieme ad Anton Francesco Gori, un catalogo illustrato delle raccolte archeologiche di vasi etruschi e greci della Galleria Clementina della Biblioteca Vaticana con i disegni del pittore Bartolomeo Poli di 469 vasi, di cui ne furono pubblicati 249 nei tre ponderosi tomi del Picturae Etruscorum in Vasculis. Non riuscì a completare l’edizione dei rimanenti due tomi. Passeri incorse nell’errore clamoroso, corretto pochi decenni dopo dagli archeologi dell’Ottocento, di attribuire agli Etruschi i vasi attici greci che i ricchi personaggi di questo popolo italico acquistavano da Greci e che, tutt’al più imitavano.
Discreto e prolifico scrittore di versi poetici (ne ha lasciati almeno cinque ponderosi volumi manoscritti alla BOP: dal 244 al 148) predilesse il genere semiserio e burlesco, facendo una satira bonaria dei personaggi e dei vizi dell’epoca, ovviamente niente di erotico, essendo il Passeri, tra l’altro, vicario del vescovo. Pubblicò anche un bizzarro trattatello sui “seccatori” cioè sugli inopportuni, i Discorsi sulla seccatura (Venezia 1753).
Rimasto vedovo nel 1741 con quattro figli maschi e due femmine, decise di intraprendere la vita religiosa, divenne sacerdote e in seguito il vescovo di Pesaro lo fece suo vicario generale. Lasciò alla Biblioteca Oliveriana, oltre al vasto epistolario, 60 volumi a stampa e 81 manoscritti (BOP 228-309, e cinque volumi di lettere all’Olivieri BOP 338). Morì il 4 febbraio 1780, a 85 anni, ormai demente, cadendo dal calesse in un burrone nei pressi di una sua villa, a Roncaglia nei pressi di Pesaro. Fu tumulato nella tomba di famiglia in S. Giovanni.
2 Di lui scrisse Domenico Bonamini, suo contemporaneo, con pietà e un pizzico di cinismo: “Essendo stato nella sua vita di felicissimo talento, stancatasi infine la sua mente si ridusse quasi imbecille, acciò forse il rimanente degl’Uomini intendesse, ch’egli era di simile pasta che la loro, e che le vaste cognizione acquistate a null’altro gl’avevano giovato che a ridurlo a quel termine”.