Il “magistrum Jacobum bocalarium” è il Boccalaro a cui è dedicata la lunga strada che corre lungo le mura del castello, da qualcuno identificato in Giacomo di Pierantonio della Ciacca, diventato molto famoso per aver lavorato a Pesaro e Venezia. L’importanza dei costruttori di vasi è molto grande e di Sant’Angelo è il primo vasaio indicato in un atto notarile nel 1326, un tale Fosco o Foscolo. Ma è nel 1400 che i vasai dilagano in tutta la provincia e il paese vanta diversi nomi importanti, come la bottega dei Paci e dei Benedetti. Olivieri definisce questa come “terra da pignatte”. Sotto la chiesa, vicino alle mura, c’era probabilmente la fornace. 

Lungo la via altri  artigiani si sono succeduti ma anche tanti altri personaggi curiosi. Per esempio Ramaioli, che aggiustava le biciclette e i fucili  da caccia; lui e  i suoi figli stavano affacciati alle mura senza far niente perché, come dicevano, “in fondo non c’era niente da fare tutto il giorno”. Lungo le mura dove via Boccalaro svolta per tornare verso la piazza c’era un forno e lì hanno  lavorato diverse ragazze del paese, come la signora Dina Bertozzi allora giovanissima, che preparava “il pastone”  a casa e poi lo portava per cuocere il pane. 

Nell’altro punto in cui le mura svoltano  c’è un grande gelso. Quella era la filanda, dove si sentivano i canti delle filandaie che lavoravano i bozzoli acquistati in un mercato molto fiorente. Anche i ragazzini del paese come la signora Rina per avere qualche spiccio portavano con poca fatica carriole di bozzoli. La filanda è stata poi adibita nel 1942 ad asilo con annesso scuola di lavoro e doposcuola e poi scuola elementare. Oggi rimane il maestoso gelso ed una abitazione privata.

Nella via che porta alla  piazza IV novembre oggi via Morselli c’era Tantera, che confezionava maglia ai ferri e centrini all’uncinetto seduto davanti a casa: Il soprannome si riferiva alla sua bassa statura ad indicare che non era cresciuto tanto ma era rimasto tale e quale era da piccolo: tant’era…tant’é. 

E poi c’era Titta che faceva il calzolaio in compagnia del suo pappagallo che ricordava ai clienti di pagare ripetendo: “Titta t’ha pagat? Titta t’ha pagat?”.