Ci vollero dodici migliaia di mattoni per costruire la chiesa di San Michele Arcangelo, costruita su una precedente chiesa tra il 1689 e il 1710 ed eretta a  collegiata da papa Clemente XI nel 1718, l’unica in tutta la diocesi. 

Ma l’ importanza spirituale della parrocchia supera di gran lunga il valore storico artistico dell’edificio e il suo valore ecclesiastico: il ruolo avuto dai parroci nel corso del tempo è stato centrale nella vita del paese e per un certo periodo anche quello delle suore, che ora non ci sono più. La signora Rina e la signora Maria ricordano che da ragazze  si trascorreva il tempo in parrocchia, anche per imparare a cucire e a ricamare , abilità utile per realizzare poi il corredo proprio e delle amiche, come racconta Rossana Romani presentando le storie della madre. 

Tutti in  paese raccontano che don Oreste è stato un riferimento per ognuno di loro, sempre disponibile, con la sua presenza o con le attività collettive come le gite: alle gite di uno o più giorni  partecipavano i ragazzi che seguivano solo più appuntamentii di catechismo! 

Come racconta Giancarla Solferati, “I ricordi più belli sono quelli legati alla parrocchia e a don Oreste. Si andava da lui per divertirsi, ma anche per chiedere dei consigli e lo facevano anche i nostri genitori. Lui ci portava a fare le gite, anche lontano da Sant’Angelo. Il momento della Comunione e della Cresima era molto importante per noi ragazzini perché sapevamo che poi il don avrebbe preparato per tutti una tazza di cioccolata calda. Non avevamo possibilità di averla così di frequente come  oggi. Ci sentivamo fortunati quel giorno e felici di fare festa tutti insieme. In chiesa c’era la statua di una Madonnina davanti alla quale tanti andavano a pregare. Soprattutto però ci andava chi aveva un problema che lo preoccupava: una malattia in casa, per esempio. 

Oltre che invocare l’aiuto della Madonna, si offriva alla statuetta un dono, un oggetto più o meno prezioso, a seconda di ciò che si possedeva, come segno della devozione e dell’impegno a rinunciare a ciò che si aveva pur di vedere migliorata la situazione grave che si stava vivendo. Poi è stato rubato tutto”. Anche   la signora Dina e sua figlia Rina ricordano che Comunione e Cresima si prendevano nello stesso giorno, al mattino e al pomeriggio; il momento più atteso era quello in cui si riceveva la cioccolata calda, la “squaii”.

Se don Oreste è il parroco di cui ancora tutti si ricordano, non meno importanti sono stati i precedenti, come don Pio Spadoni e don Giovanni Gabucci, morto nel 1948 ed autodefinitosi “il facchino della Diocesi”, un grande archivista che ha raccolto documenti di raro interesse ancora oggi visibili nell’archivio della parrocchia e risalenti al 1500. Sia don Oreste che don Gabucci hanno tenuto  nota della vita del paese con dedizione quotidiana, entrambi ovviamente in quaderni scritti a mano; di don Oreste si ammira particolarmente la grafia chiara e precisa. 

Don Gabucci invece aveva scritto una sorta di visita al paese, con minuziose ed interessanti descrizioni. Non da meno è quella  dedicata alla chiesa e al palazzo Mamiani. “ La collegiata è rimasta troppo bassa , sproporzionata, perché come si legge nel “libro della fabbrica della chiesa” “per istigazione dei perversi e prepotenti non fu permesso proseguire, onde convenne abbassare le finestre e coprire. E il prepotente fu il conte Mamiani il quale non permise che la chiesa superasse in altezza il suo palazzo e che il campanile sorpassasse la torre. Nel 1913 il Priore Lazzari fa innalzare il timpano sulla facciata e dalla munificenza del Papa Pio XI fu costruita la terza navata sull’area della vecchia e cadente casa parrocchiale, che venne sostituita da una nuova canonica dello stesso Pontefice. Ma anche i cittadini vollero concorrere ad abbellire la loro chiesa  facendo decorare il finto finestrone con una artistica maiolica raffigurante il protettore S. Michele Arcangelo. 

Peccato che l’incapacità del maiolicaro Ciccoli di Pesaro abbia fatto rovinare il lavoro per l’infiltrazione dell’acqua e del gelo fra le mattonelle”. Cita poi le opere all’interno: le copie di opere di Guido Reni e del Correggio, un dipinto del pesarese Giovan Giacomo Pandolfi (proveniente dalla diruta chiesa di Sant’Isidoro, in località Serra) e un altro attribuito a Giovanni Venanzi; molto belli gli  intagli lignei del coro in noce e parte dell’arredo della sacrestia, databili nella prima metà del XVIII secolo, opera di Venanzio Guidomei, abile ebanista originario di Ginestreto.

Oggi il parroco ha una funzione molto diversa da quella degli antichi ecclesiastici, chiamati e stipendiati dal comune per insegnare ai giovani “ di grammatica e aritmetica, ma soprattutto di questioni religiose”; ma nel paese è un grande riferimento e le funzioni fanno da richiamo per la popolazione; anche se il vecchio organo non suona spesso mantiene ancora il suo se pure malconcio funzionamento.